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Mezzogiorno o questione meridionale: riflessione politica a cura di Margherita Cogo

Riflessione politica  a cura di Margherita Cogo, Comitato Scientifico degli Stati generali delle Donne
Il Mezzogiorno o “questione meridionale” pare di complessa soluzione e il PNRR potrebbe e dovrebbe ridurre il gap storico esistente.
Claudio De Vincenti, della Fondazione Merita-Meridione Italia, afferma che il momento attuale offre straordinarie opportunità, perché l’Europa e l’Italia guardano per forza di cose a sud e il Mezzogiorno può davvero diventare la piattaforma logistica dell’Europa nel Mediterraneo.
Antonio Accentauro, di Bankitalia, evidenzia che il 25% del valore aggiunto al Sud arriva dei servizi pubblici (14% al Nord) e che oggi, come trent’anni fa, non vi sono meccanismi di mercato capaci di favorire il riequilibrio territoriale fra Nord e sud, quindi la qualità dell’azione pubblica resta la prima leva per recuperare il divario e il PNRR è un’occasione storica. È necessario rafforzare i segnali positivi: la crescita della dimensione media delle imprese, la crescita dell’export agli stessi livelli del Centro-Nord, la quota di energie rinnovabili al Sud passata dal 26% dal 2007 al 40% del 2019.
Marco Zigon, del gruppo Getra, sostiene che il Sud ha una vocazione come hub strategico per la produzione e la trasmissione di energie rinnovabili (sesto settore “manifatturiero” competitivo insieme ad automotive, abbigliamento aerospazio, agroalimentare e farmaceutico). Inoltre, il Sud produce il 97% dell’energia eolica e il 41% dell’energia solare. Vero è che gli impianti solari ed eolici si possono installare ovunque, ma è anche vero che non hanno la stessa efficacia e la stessa efficienza ovunque: il Sud ha un vantaggio competitivo.
A fronte di tutto ciò, si può realisticamente pensare di giungere in tempi brevi all’attuazione del “regionalismo differenziato”?
Regionalismo differenziato
La Puglia, la Basilicata e la  Calabria, a norma dell’art.116, comma 3, della Costituzione, introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001,  pur non avendo avviato dal punto di vista formale i negoziati, hanno assunto iniziative ad essi prodromiche, consistenti nell’approvazione di «atti di indirizzo» volti ad impegnare la Giunta regionale in tal senso.
Scendendo più nel dettaglio, dieci Regioni hanno avviato il procedimento previsto dall’art. 116, comma 3, Cost., tre (Lombardia, Veneto ed Emilia- Romagna) hanno concluso con il Governo, all’inizio del 2018, un «accordo preliminare» alla stipula dell’«intesa» e sono perciò ad uno stadio di trattative più avanzato (sebbene ancora lontano dal concludersi); le altre sette (Campania, Liguria, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana e Umbria) hanno presentato una proposta di differenziazione che, a sua volta, è in corso di esame congiunto nel “tavolo tecnico» istituito presso il Dipartimento degli Affari regionali.
Ad oggi solo l’ Abruzzo e il Molise non hanno mosso alcun passo nella direzione della differenziazione di competenze.
In conclusione, parlare oggi di “Regionalismo differenziato”, a fronte di una spesa pubblica storica che avvantaggia le regioni del nord, non pare realistico. È prima necessario che si riduca il gap economico e produttivo esistente tra le diverse regioni italiane.
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